Ich bin ein Berliner

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Nell’attuale periodo storico stiamo assistendo ad un massiccio flusso di immigrati. In realtà è difficile trovare una parte della storia moderna senza una situazione come questa. Ci fa impressione perché, questa moltitudine non facilmente calcolabile di persone, arriva da noi, in Europa, terra che invece è stata protagonista più di emigrazione che di immigrazione. Proprio per questo, memori del nostro passato ed in linea con i valori umani che derivino dalla religione o meno, possiamo solo aprire le nostre porte, accogliere queste persone che vengono dalla povertà più assoluta o da guerre di una crudeltà inaudita. Dobbiamo però vedere come accogliere questi profughi. Sicuramente ci devono essere dei centri di accoglienza degni ed efficienti che facciano anche un minimo di screening in modo di dare un’identità certa agli immigrati ed a controllare, che non ci sia qualcuno con intenzioni terroristiche. Durante questo primo periodo, si spera il più breve possibile, cercare di parlare con queste persone, capire quali sono le loro aspirazioni ed infine dirigerle dove preferiscono nei limiti del possibile. E qui si entra nel nocciolo della questione. Bisogna che i diversi Paesi europei entrino nell’ottica di accettare un certa parte di questa gente, io direi in proporzione alla propria popolazione od in più se ne fanno richiesta. E’ ovvio che se per esempio tutti vogliono andare in Olanda bisogna che qualcuno si accontenti di avere una vita dignitosa e magari anche migliore altrove. Il Paese che non ci sta esce fuori dall’Unione Europea anzi direi dalla Nuova Unione Europea ma questo è un altro argomento. Trovo ridicolo che un continente come il nostro che da una parte ha spedito persone ovunque e dall’altra ha anche colonizzato, adesso non accetti chi ha bisogno come ne avevano avuto i nostri avi. Trovo offensivo i muri che si vuol costruire, di nuovo dopo la fatica fatta per abbattere quello di Berlino.

Una volta indirizzati in un Paese, entrano in campo le nostre Comunità che a loro volta devono accettare proporzionalmente gli immigrati e trovare degli spazi di prima accoglienza (che non mancano affatto). Durante questo primo periodo giusto che gli accolti comincino ad essere utili socialmente. Successivamente gli stessi Comuni devono procedere con l’integrazione. No il concetto di Comunità chiusa non fa parte di questo blog nonostante qualcuno, superficialmente e senza leggerci con attenzione, ci abbia accusato di questo. Inoltre i nostri Comuni hanno oggi bisogno di una spinta dal punto di vista demografico, di un’iniezione di gioventù di fronte ad un calo della popolazione attiva preoccupante, elemento sottovalutato quando si parla di crisi economica. Ovviamente per chi arriva e per chi accoglie un po’ di naturale enpass c’è, ci si deve conoscere e chi arriva deve avere lo spirito di adeguarsi alle regole del posto dove è stato accolto, mentre chi apre le sue porte deve sforzarsi di capire la differente cultura e questo di solito è un fattore di crescita. Il legame con il luogo di origine non si dimentica soprattutto in condizioni di emigrazione forzata ma come sarà bello sentire un giorno il figlio di due emigrati ad esempio siriani, nato e cresciuto a Berlino dire spontaneamente: Ich bin ein Berliner!!! I am a Berliner!!! Io sono di Berlino!!

E di dirlo a pieno diritto e non per politica (apprezzabilmente) come fece Kennedy ;-).

Per maggior chiarezza espositiva ripetiamo ora in sintesi la nostra ricetta in materia di immigrazione, modesta e sempre aperta al contributo (speriamo) di voi lettori:

  1. Istituzione di centri di accoglienza nelle aree di confine della U.E., istituzioni europee e non solo dei singoli Stati, tutti devono dare il loro apporto economico e culturale.
  2. Valutazione della direzione dei flussi venendo incontro alle aspettative degli immigrati, ridistribuendoli proporzionalmente alla popolazione degli Stati.
  3. Accoglienza nelle diverse Comunità che in termini logistici (case, strutture) ed integrazione (lavoro, incontri) possono, devono ed hanno spesso il bisogno di dare il loro contributo, in base alla propria dimensione.

Joseph Gary

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